IL GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO: UNA QUESTIONE DI CONSAPEVOLEZZA

Il gioco d’azzardo patologico, la sua diffusione e le azioni di contrasto: sono queste alcune delle
tematiche trattate nell’intervista realizzata alla dottoressa Francesca Picone, psichiatra e direttore del
modulo 9 del Dipartimento Salute Mentale dell’Asp di Palermo, promosso dall’Associazione
Arthesia APS, co-finanziato dalla Regione Siciliana – Assessorato della famiglia, delle politiche
sociali e del lavoro – nell’ambito dell’avviso pubblico per la concessione a soggetti del terzo settore
di contributi in ambito sociale “ PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA LUDOPATIA”.
Di seguito l’intervista alla dottoressa Picone.

Qual è il ‘polso della situazione’ rispetto alla diffusione del Gap? Quali sono le caratteristiche
del giocatore d’azzardo patologico che si riscontrano a livello socio-culturale?

Il fenomeno è prevalentemente sommerso, a noi giunge una percentuale proporzionalmente esigua
rispetto all’entità del problema. Questo perché ci si vergogna, si minimizza, si prova a risolvere la
questione da soli. Il target tipico è quello del giocatore uomo, tra i 40 e i 50 anni con livello di
istruzione e socio-culturale medio basso. Questo non vuol dire che le donne siano escluse dal
problema. Per quel che riguarda l’entità del fenomeno siamo in linea con la media nazionale.

Quando il giocatore arriva per la richiesta di aiuto che tipo di problemi si riscontrano?

Purtroppo si arriva alla richiesta di aiuto quando il problema si presenta un livello patologico, ma il
disturbo sorge molto prima. La richiesta arriva in ritardo a noi, perciò risulta più difficile e laborioso
intervenire. Il problema si insinua nel giovane adulto e a noi arriva quando già al suo ACME.
Spesso ricostruiamo che la questione si era mantenuta in margini di non consapevolezza.

In che modo il giocatore d’azzardo arriva alla richiesta di aiuto?

Quello che accade più spesso e che i familiari si accorgono dei buchi economici di enorme portata
lasciati dalla dipendenza da gioco patologico e per questo si rivolgono a noi. Capita anche che il
paziente giocatore venga da noi autonomamente perché si vuole liberare dalla trappola del gioco
d’azzardo patologico, ma molto spesso, nel caso di paziente uomo, sono le mogli che fanno la
richiesta d’aiuto. Purtroppo però anche in questi casi manca la consapevolezza della malattia, si
arriva invece con l’idea del vizio, si minimizza. Noi lavoriamo proprio su questo, cercando di
trasmettere la consapevolezza della dipendenza patologica.

Quali sono le azioni che l’Asp mette in campo per contrastare il GAP?

Lavoriamo soprattutto in termini di prevenzione, la più precoce possibile, e lo facciamo nelle scuole
anche tramite la sinergia con le associazioni. Da novembre dell’anno scorso abbiamo costituito una
task-force di giovani colleghi, psichiatri e psicologi che lavorano proprio nell’ambito della
prevenzione del gioco d’azzardo patologico, che sta già portando ottimi risultati. Grazie a questo
progetto, inoltre, c’è stata la possibilità di intercettare situazioni a rischio