Testimoni dell’inclusione/3: Veronica Tranchida

Veronica Tranchida è una psicologa iscritta all’albo e psicoterapeuta in formazione ad indirizzo sistemico familiare. Ci racconta la sua esperienza come responsabile gestione attività progettuali della Sicilia per OPES, partner del progetto “Non solo assistenza: realizzazione di una rete di sostegno per la disabilità”.

Quando ha iniziato ad occuparti di disabilità? «Ho iniziato ad approfondire il mio interesse per la disabilità durante il percorso accademico. Sono però anche una sportiva: sono stata un’atleta di scherma che ha conosciuto OPES attraverso il servizio civile, da lì è iniziata questa collaborazione».

Quanto è importante lo sport nella vita di un disabile? «lo sport riveste un ruolo molto importante dal punto di vista cognitivo e sociale perché consente di approfondire la conoscenza del proprio corpo, delle proprie risorse e l’orientamento spazio/temporale. In più, stimola la capacità di percepire se stessi e la relazione con gli altri elaborando i propri e altrui stati emotivi, di saperli contenere e favorisce la motivazione che a cascata ricade sulla quotidianità e sull’atteggiamento positivo. Per questo lo sport è stato scelto come mezzo principale nel progetto “Non solo assistenza: realizzazione di una rete di sostegno per la disabilità”: riduce la percezione di isolamento che i soggetti disabili vivono. La ricaduta principale di questa attività – continua la dottoressa Tranchida – è stata anche con gli operatori che per la prima volta si sono approcciati alla disabilità, imparando a conoscere le difficoltà e le potenzialità di questo tipo di attività».

Quali sono invece le criticità emerse lavorando con i soggetti disabili e normodotati? « In primis la difficoltà nel reperire luoghi idonei privi di barriere architettoniche e poi la poca presenza di attività rivolte ai disabili e lo scetticismo generale in termini di partecipazione. La percezione dell’isolamento nasce dal fatto che non ci sono attività rivolte ai disabili e che vi è un certo pregiudizio a parteciparvi». C’è quindi ancora molto da fare per cambiare la cultura dell’inclusione nel nostro paese.

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